Relazioni interpersonali in ufficio

Relazioni interpersonali in ufficio

 

 

Come abbiamo visto precedentemente, uno degli aspetti positivi degli uffici open-plan è proprio quello di accrescere le opportunità di fare amicizia con i colleghi e di avere maggiori feedback dai superiori, anche se, dall’altro lato, vi è il rischio di percepire un senso di invasione del proprio spazio e perdita del senso di privacy, con ripercussioni negative sulla soddisfazione per l’ambiente fisico di lavoro. Avere delle relazioni positive con colleghi e superiori è infatti un aspetto molto importante per il benessere e la soddisfazione dei lavoratori. Cattive relazione interpersonali hanno un’ influenza negativa sulla soddisfazione lavorativa ed anche sulla valutazione dell’ufficio in cui queste relazioni vengono intrattenute, la soddisfazione lavorativa e per l’ambiente sociale risentono infatti della presenza di conflitti interpersonali, delle opportunità di fare amicizia e di ricevere feedback dai superiori (Oldham & Rotchford, 1983). L’ambiente fisico d’altronde è in grado di influenzare le relazioni interpersonali in vari modi, per esempio controllando l’accessibilità all’interazione sia visiva che uditiva tramite la distanza che si frappone tra gli individui, oppure attraverso la presenza o meno di barriere; il design dell’ufficio permetterebbe così di regolare il livello di privacy fornendo la possibilità di definire i confini individuali e di personalizzare il proprio spazio (Noorian, 2009). Ci chiediamo allora che relazione vi può essere tra la personalizzazione e il controllo sul proprio spazio e le relazione interpersonali. Dagli studi sulla territorialità, ad esempio, è emerso come quest’ultima favorisca il senso di coesione e riduca il desiderio di ritirarsi dalla comunità. Per approfondire il discorso è bene sottolineare di nuovo la distinzione tra il senso di proprietà psicologica ed i comportamenti territoriali, mentre il primo è intrinseco e quindi non evidente agli altri, i comportamenti territoriali potrebbero infastidire le altre persone, che potrebbero pensare che questi comportamenti siano motivati dal desiderio di avere controllo sulle risorse (Brown & Zhu, 2016). In effetti, la ricerca di Brown e Zhu ha rivelato un’associazione negativa tra i comportamenti territoriali e le percezioni dei colleghi circa la performance dell’individuo in questione, lo stesso vale per i comportamenti di difesa anticipatoria (anticipatory defending) – chiudere la porta, utilizzare chiavi e password per impedire l’accesso ad altri al proprio spazio – in quanto verrebbero percepiti dai colleghi come modalità di controllo derivate dalla mancanza di potere all’interno dell’organizzazione. La stessa associazione non si realizza invece per la percezione di proprietà individuale, essa infatti non sembra indurre percezioni negative nei confronti del soggetto da parte degli altri lavoratori, proprio perché si tratta di un’esperienza intima.

Risultati diversi erano stati invece trovati, qualche anno prima, da Oldham e Rotchford (1983), sebbene i dati riguardanti le esperienze ambientali e l’uso di marcatori spaziali non fossero troppo chiari, era emersa una relazione positiva tra le esperienze interpersonali (feedback dei supervisori e opportunità di fare amicizia) e la tendenza a marcare il proprio spazio ed a trascorrere la pausa all’interno dell’ufficio. In linea con questi risultati, Lee e Brand (2005) hanno dimostrato la presenza di una relazione positiva tra la percezione di controllo sullo spazio fisico di lavoro e la percezione di coesione di gruppo, a sua volta positivamente correlata con la soddisfazione lavorativa.

Questi dati supportano dunque l’idea secondo cui un uso flessibile dello spazio possa favorire la comunicazione, e suggeriscono inoltre che fornire ai lavoratori controllo sul proprio spazio di lavoro permetta di rispondere ai bisogni di flessibilità, sia a livello individuale che di gruppo, contribuendo così alla coesione di gruppo. Anche i risultati ottenuti da Berndt (2000) sono in linea con questa teoria, mostrano infatti come, dopo aver seguito un programma di formazione sull’ergonomia, i lavoratori percepiscano di avere maggiore controllo sull’ambiente, che a sua volta supporterebbe meglio gli scambi comunicativi.

Il fatto che vi siano risultati controversi in letteratura potrebbe essere dovuto, tra le altre cose, al fatto che ogni studio ha seguito un focus diverso e perciò non in tutte le ricerche si è tenuto conto della distinzione tra percezione individuale di proprietà e comportamenti territoriali come è stato fatto nella recente ricerca di Brown e Zhu (2016). Nel loro studio gli autori si sono infatti concentrati sui concetti di territorialità e proprietà, mentre nella ricerca di Lee e Brand (2005) si parla piuttosto di percezioni di controllo sullo spazio, inteso come sensazioni di poter intervenire e modificare l’ambiente fisico, ma non si fa riferimento né al concetto di territorialità né alla distinzione affrontata da Brown e Zhu.

 Vogliamo inoltre approfondire il discorso considerando un’altra variabile influente la percezione dello spazio, ovvero la cultura. Secondo Hall (1966), a livello microculturale, l’organizzazione dello spazio nelle attività individuali e di gruppo ha tre dimensioni fondamentali:

  1. fixed-featured space”: lo spazio è organizzato secondo il piano della cultura, un buon esempio che illustra questo tipo di organizzazione è nel layout delle città e nella progettazione degli edifici, ma si riflette anche sullo spazio interno.
  2. “Semi-fixed feature space”: è il modo di arrangiare lo spazio in base allo scopo e alle esigenze degli utenti, può influenzare le comunicazioni e può aiutare a mantenere le persone separate l’una dall’altra (“sociofugal”) o oppure ad unirle (“sociopetal”). In questo modo, divisori come mobili, schermi e partizioni fisse possono essere utilizzate come elementi per dividere spazio.
  3. Informal space”: è la distanza di conservazione tra le persone.

L’entità di tale distanza dipende dal livello di confidenza tra gli individui e dai sentimenti provati nei confronti dell’altra persona al momento della comunicazione. Le distanze utilizzate sono influenzate dal background culturale e dalle emozioni.

Questa distinzione ci suggerisce che il discorso riguardo la percezione dello spazio e le relazioni interpersonali non dovrebbe tralasciare di considerare le differenze culturali, è noto infatti che culture come quelle giapponese e tedesca preferiscano mantenere una maggiore distanza  tra gli individui rispetto ad altre culture, come quella araba per esempio. Come abbiamo già visto, percepire che un individuo si trova eccessivamente vicino a noi può portare a sensazioni di disagio che potrebbero scoraggiare un’interazione positiva.

Per concludere il discorso sulle relazioni interpersonali vogliamo introdurre il costrutto della cultura organizzativa, in quanto essa gioca un ruolo importante nell’influenzare la qualità di tali relazioni. Come sostengono De Carlo e colleghi (2013) si tratta di un costrutto piuttosto recente, su cui ci si è concentrati dopo il cambiamento di prospettiva dei manager aziendali, i quali si sono recentemente resi conto che essa rappresenta un fattore decisivo per l’efficacia organizzativa.

La cultura organizzativa può essere considerata come l’insieme dei modelli di comportamento e degli schemi di significato che tengono unita l’organizzazione, definendo le modalità con cui si comunica, ci si relaziona, si lavora. Rappresenta dunque un insieme di valori, norme e significati condivisi che caratterizzano l’organizzazione stessa, sembra agire come una forma di controllo sociale operante a livello emotivo, per questo influenza molto l’esperienza lavorativa dell’individuo; favorisce inoltre l’identificazione con l’organizzazione e l’impegno organizzativo attraverso il senso di appartenenza al gruppo.

L’importante ruolo giocato da questo costrutto si ripercuote anche a livello della personalizzazione dello spazio, nello studio di  Wells e colleghi (2007) risulta infatti che la cultura organizzativa è in grado di predire la politica e le norme sulla personalizzazione, ad esempio le organizzazioni con clan cultures permettevano più personalizzazione rispetto alle organizzazioni con nonclan cultures. Le clan cultures si caratterizzano per il clima familiare che si respira nel luogo di lavoro, i rapporti sono amichevoli, improntati alla fedeltà e all’impegno, i leader sono come genitori e tutta l’organizzazione è come una grande famiglia. Altri tipi di culture – secondo il modello di Cameron e Quinn – sono ad esempio: adhocracy culture, dove l’organizzazione è percepita come un’entità dinamica, creativa e imprenditoriale, orientata all’innovazione; hierarchy culture, in questo caso l’organizzazione è molto strutturata e formalizzata, basata sul rispetto delle procedure e delle regole; e market culture, caratterizzata da orientamento al successo ed al risultato (in De Carlo et al., 2013). Altro fenomeno osservato nella ricerca di Wells e colleghi è che, nelle compagnie più permissive rispetto alla personalizzazione, il lavoratori effettivamente personalizzavano di più il loro spazio rispetto ad aziende meno permissive, questo ci suggerisce che, potendo scegliere, i lavoratori preferiscono lavorare in uno spazio cucito su di loro piuttosto che standardizzato. Come era stato previsto dagli autori, la ricerca ha confermato una relazione indiretta tra cultura organizzativa e personalizzazione: la cultura organizzativa sarebbe in grado di predire le politiche e le norme di personalizzazione, che, a loro volta, predirebbero quanto effettivamente gli impiegati hanno personalizzato il proprio spazio.

 

 


©  La personalizzazione del proprio spazio: una ricerca in ambito lavorativo – Dott.ssa Martina Mancinelli