L’ignoranza comparativa e l’avversione all’ambiguità

L’ignoranza comparativa e l’avversione all’ambiguità 

Una delle aree su cui la ricerca relativa ai processi decisonali si è focalizzata maggiormente è quella delle scelte  in condizioni di ambiguità o di ignoranza delle probabilità associate agli esiti. Gli sviluppi in tale ambito di ricerca sono particolarmente interessanti perché molto spesso le persone fanno delle scelte in condizioni in cui non è chiara la probabilità di raggiungere un determinato risultato.

Il primo ad intuire l’importanza dello studio delle decisioni in condizioni di ambiguità è stato Knight (1921). Knight distingueva l’incertezza in incertezza misurabile ed incertezza non misurabile. La prima, che corrisponde al rischio, a differenza della seconda è rappresentabile mediante una precisa probabilità.

Nello stesso periodo Keynes (1921) differenziava la probabilità, cioè la quantità di evidenza in favore di una particolare proposizione, dal peso dell’ evidenza, cioè la quantità di evidenza a supporto del bilancio. Solo più tardi, però, Savage (1954) riconobbe che le probabilità soggettive fossero comunemente vaghe, osservando l’assenza della vaghezza dalle teorie della scelta razionale. Successivamente, Ellsberg (1961) riprendendo le osservazioni di Keynes, dimostrò che le persone preferiscono scommettere su ciò che conoscono piuttosto che su ciò che non conoscono. Per esempio, Ellsberg ha mostrato che le persone sono più propense a puntare su un urna in cui ci sono 50 palline nere e 50 palline rosse piuttosto che su un urna in cui ci sono 100 palline rosse e nere  in proporzioni sconosciute (questo fenomeno ha preso il nome di Paradosso di Ellsberg).

Questo esempio è importante perché costituisce una violazione delle teorie della scelta razionale. Dopo Ellsberg numerosi studiosi hanno dimostrato che l’avversione all’ambiguità caratterizza spesso il modo con cui prendiamo le decisioni. Ad esempio, numerosi studi hanno dimostrato l’attitudine degli azionisti ad investire in titoli del rispettivo mercato nazionale rispetto a quelli di stranieri (French & Ponterba, 1991; Kilka & Weber, 2000; Huberman, 2001). I titoli nazionali sono meglio conosciuti e le persone pensano di poter stimare in modo più preciso le probabilità di ottenere un rendimento positivo.

Tuttavia Heath e Tversky (1991) hanno dimostrato che l’avversione all’ambiguità sussiste soprattutto quando le persone si sentono incompetenti. Per esempio, un appassionato di calcio sarà più disponibile a scommettere su una partita il cui risultato è molto difficile da prevedere rispetto quanto non lo sia uno che non se ne intende per nulla.

Per spiegare il fatto che il sentimento di incompetenza porti a rifiutare le alternative vaghe, Fox e Tversky (1995) hanno proposto l’ipotesi dell’ignoranza comparativa.

Questa ipotesi afferma che l’avversione all’ambiguità è presente quando i prospetti, uno vago e l’altro incerto, sono giudicati contemporaneamente, ma non quando ognuno dei due è giudicato singolarmente. In una serie di esperimenti Fox e Tversky (1995) hanno dimostrato che le persone sono disposte a pagare di più per scommettere su un alternativa vaga quando questa è presentata da sola rispetto a quando questa è presentata insieme ad una incerta.

Successivamente, Fox e Weber (2002) hanno dimostrato che l’ignoranza comparativa dipende da uno stato mentale del decisore piuttosto che da una manipolazione del contesto sperimentale.

Ad esempio, quando l’alternativa vaga è presentata prima di quella chiara entrambe le alternative sono valutate di più rispetto a quando l’alternativa chiara è presentata per prima. Inoltre, Fox e Weber (2002) hanno dimostrato che informazioni aggiuntive possono addirittura rinforzare il sentimento d’incompetenza, quando questo è presente, attivando maggiormente l’avversione all’ambiguità.

Inoltre, il diverso modo di  valutare un alternativa quando è presentata da sola, in valutazione separata (separate evaluation; SE), rispetto a  quando  è affiancata ad un’altra, in valutazione congiunta (joint evaluation; JE), è riconducibile ad una particolare modalità di preference reversal (Hsee, 1996; Hsee, Lowenstein, Blount e Bazerman, 1999).

Per spiegare questo tipo d’incoerenza delle preferenze, Hsee (1996) ha proposto l’ipotesi di valutabilità. Secondo questa ipotesi l’incoerenza tra JE e SE si verifica perché alcuni degli attributi delle alternative sono difficili da valutare in assenza di un valore con cui confrontarli e per questo motivo hanno un maggior impatto sulle valutazioni quando sono presenti più alternative in contemporanea. Ad esempio, supponendo che ci siano due dizionari usati, un dizionario A con 20.000 voci e la copertina rovinata ed un dizionario B con 10.000 voci in ottimo stato, le persone saranno disposte a pagare di più il primo dizionario rispetto al secondo quando sono posti l’uno a fianco dell’altro che non quando sono valutati ognuno per conto proprio. Infatti, il numero di voci, relativamente difficile da valutare senza un termine di paragone, diviene più facile, e quindi più rilevante davalutare nella condizione di JE. Allo stesso tempo il fatto che la copertina sia rovinata è facile da valutare in entrambe le condizioni, di conseguenza non guadagna nessuna rilevanza passando dalla valutazione separata a quella congiunta.

Hsee, Lowenstein, Blount e Bazerman (1999) hanno dimostrato anche che il grado di  valutabilità di un attributo è strettamente collegato alla tipologia e alla quantità di informazioni dal punto di vista di chi valuta. Per esempio, dovendo valutare un candidato per un posto di lavoro sulla base di un punteggio ad un test il punto della vista di chi lo valuta cambierà notevolmente a seconda del fatto che conosca i punteggi medi di questo test, piuttosto che gli estremi o che non abbia nessuna informazione a riguardo. In particolare Hsee et al. (1999) hanno mostrato che a questi tre diversi scenari corrispondono altrettante funzioni del grado di valutabilità.

Quando non si hanno informazioni la funzione di valutabilità assume la forma di una funzione monotona piatta, mentre quando si conoscono i punteggi minimo  e massimo la funzione è monotona crescente. Diversamente, quando si conosce la media dei punteggi la funzione assume una forma ad esse.

Recentemente, la ricerca sulla decisioni ha cominciato a mettere a fuoco il ruolo giocato dalle emozioni in questo tipo di incoerenza decisionale. Rubaltelli, Rumiati e Slovic (2010) hanno mostrato che le persone sono più abili a sfruttare le proprie reazioni affettive quando due alternative sono valutate in una modalità congiunta rispetto a quando queste sono valutate separatamente. Questi risultati sono contrastanti con quanto affermato da altri studi  che suggeriscono che le reazioni affettive siano usate come feedback quando le persone non hanno sufficienti informazioni per valutare gli stimoli (e.g Peters, 2006), ma concordano con quanto riportato da Pham (2007). In aggiunta, Rubaltelli et al. (2010) hanno mostrato, in una versione del Paradosso di Ellsberg in cui le due urne erano entrambe incerte, che le reazioni affettive possono spiegare l’incoerenza tra JE e SE anche per stimoli che sono caratterizzati dallo stesso livello di incertezza. Inoltre, gli autori di questo studio hanno suggerito che i risultati da loro ottenuti si possano estendere all’effetto certezza (Kahneman e Tversky, 1979). Proprio nella prossima sezione di tesi sarà presentato un esperimento che prende in considerazione questa ipotesi.

© L’IPOTESI DELLA IGNORANZA COMPARATIVA NELLA VALUTAZIONE DI ALTERNATIVE CERTE E RISCHIOSE – Dott. Andrea Righi