Il break-even dei programmi di incentivazione
Il break-even dei programmi di incentivazione
È opportuno in questa sede fornire qualche considerazione sull’opportuno utilizzo, nel tempo, degli strumenti di incentivazione sopra proposti.
Si intende a questo fine evidenziare come le strategie di ricompensa debbano essere attentamente impiegate, in relazione alle finalità di partenza e agli effetti che possono avere. Riguardo al secondo aspetto è possibile citare una ricerca pubblicata dall’International Society for Performance Improvement (ISPI), ad opera della University of Southern California e della Univesity of Central Florida , in cui si analizza la relazione fra i differenti programmi di incentivi e il loro ritorno, in termini di prestazione, dei loro effetti.
La ricerca, intanto, confuta il mito secondo cui gli incentivi distruggono l’interesse intrinseco nel lavoro. Essi, invece, non solo comunicano al lavoratore cosa è importante, ma allenano il suo senso di autoconfidenza, accrescendo la fedeltà verso l’azienda. Inoltre la ricerca dimostra l’importanza degli incentivi per raggiungere gli obiettivi, che solo nell’ 8% dei casi si sarebbero potuti raggiungere in altri modi. Ma la cosa che più interessa è che viene confermato il principio del “più spendi, più guadagni”.
I risultati economici delle varie politiche di incentivazione , in altre parole, sono collegati al periodo a cui si riferiscono le politiche stesse.
Così, incentivi a breve termine, come un premio produttività contingente, consentono un ritorno massimo del 20%.
Gli incentivi a medio termine, che influiscono, cioè, su un periodo approssimativo di 6 mesi, generano un risultato del 30%.
Infine incentivi a lungo termine, come un percorso di carriera, pur se percepiti con meno reattività da parte dei dipendenti, possono far arrivare i guadagni fino al 44%. In definitiva, essendo le politiche di incentivazione molto onerose, esse cominciano a diventare fruttuose se relative a un periodo che va oltre i sei mesi, essendo questo il periodo in cui si possono realizzare guadagni e aumenti della produttività che superano l’ammontare fisso della retribuzione, che di solito si situa su una percentuale rispetto alla produttività, che va dal 20%, per le attività fortemente meccanizzate, a un 38%, per le attività a intenso utilizzo del fattore umano.
Al di la di percentuali e statistiche, che variano da settore a settore, va qui sottolineata l’importanza di predisporre analisi di break-even, ossia di copertura dei costi fissi del lavoro, prima di ideare una politica di incentivazione, i cui costi tendenzialmente variabili potrebbero non garantire un risultato positivo, a seconda del loro raggio di azione.
Quando il sistema premiante si fa sofisticato, inoltre, si rendono necessarie delle elevate competenze relative alla definizione e implementazione delle politiche retributive, tanto più quanto più la forza-lavoro operante nell’impresa è qualificata. Queste attività richiederanno sempre più il contributo di un esperto che sia in grado di padroneggiare questa complessa materia.
Si fa riferimento al responsabile in compensation & benefit, figura che con maggiore frequenza si sta insinuando nella struttura organizzativa delle aziende più all’avanuardia. Egli svolge una serie di attività connesse all’individuazione, gestione e ridefinizione delle politiche retributive aziendali, al fine di rinforzare o incentivare il miglioramento continuo della performance dei dipendenti, generando costi accettabili per l’impresa.
Più in dettaglio questa figura svolge intanto una diagnosi della retribuzione base, verificandone la coerenza interna e la competitività esterna. In secondo luogo effettua una pianificazione della retribuzione base attraverso la definizione o la rifocalizzazione della struttura e dei programmi retributivi (definizione delle linee di politica retributiva, dei criteri di riconoscimento delle prestazioni, valorizzazione in termini temporali degli effetti e delle decisioni di politica retributiva sul monte salari complessivo e sulle situazioni retributive individuali).
Effettua inoltre una diagnosi della retribuzione variabile, individuandone le aree di miglioramento ed il collegamento alla prestazione. In altre parole progetta e revisiona il sistema di retribuzione variabile, definendone i principi e gli obiettivi, la scelta di modelli, la determinazione dei cicli temporali, la selezione dei criteri di misura delle prestazioni e la loro definizione e la simulazione costi-ricavi.
Infine individua un pacchetto di benefici alternativi e realizza le cosiddette “indagini” retributive relative a settori produttivi, a fasce professionali (quadri/dirigenti) o a specifiche figure professionali. In sintesi va ribadita l’importanza di trasformare scelte di politica retributiva in piani definiti, temporizzati e valutati in termini di costi degli interventi, tenendo allo stesso modo presente i necessari adattamenti e le possibili differenziazioni interne, affinché il mix che ne viene fuori sia coerente con le strategie aziendali.
© Analisi dei processi di motivazione nella gestione delle risorse umane – Davide Barbagallo