Employability come costrutto psico sociale

Employability come costrutto psico sociale a tre dimensioni

Diversi studi precedenti al modello di Fugate e collaboratori (2004) hanno descritto l’employability a partire da svariate caratteristiche. Alcuni autori hanno sottolineato diversi aspetti dell’employability, alcuni di questi di lì a poco avrebbero preso le forme e i contorni del modello psicosociale di Fugate e collaboratori.

Ci si riferisce nello specifico a tutti quegli studi sul costrutto che sono andati ad indagare dimensioni come la proattività, (Crant, 2000) la personalità proattiva (Bateman e Crant 1993). il livello di iniziativa personale (Frese e Fay, 2001),  l’energia, la socializzazione proattiva (Saks e Ashforth, 1997) ecc.

La proattività migliora le performance (Crant, 1995) e promuove la possibilità di raggiungere gli obiettivi di carriera (Seibert, Crant, e Kraimer, 1999) riducendo i livelli di incertezza e ansia (Saks & Ashforth, 1996).

Wanberg and Kammeyer-Mueller (2000) confermano come la socializzazione proattiva incrementi la job satisfaction e riduca l’intenzione di cambiare lavoro.

L’espressione pratica del costrutto employability è concentrata nella sigla KSAO che corrisponde a:

·    acquisizione di conoscenze (k);
·    skills (s);
·    abilità (a);
·    unite al altri tipi di conoscenze (o) .

Le parole chiave che hanno caratterizzano la natura dell’employability sono state la proattività (Crant, 2001) e il livello di changeable (Chan, 2000), entrambe preziose per venire incontro ai continui sviluppi del mondo lavorativo.

Alla luce di tutte queste considerazioni Fugate, Kinicki e Ashforth, nel 2004, pensarono che ci fossero le basi necessarie per lavorare sull’employability e di collegare molte di queste caratteristiche a un tipo di costrutto che fosse psico-sociale e multidimensionale.

Gli stessi autori proposero che concepire l’employabilitiy come costrutto centrato sulla persona avrebbe facilitato la comprensione delle modalità in cui i lavoratori possono promuovere migliori livelli di adattamento, a fronte della miriade di cambiamenti necessari nell’odierno mercato del lavoro.

Il loro contributo è attualmente un punto di riferimento nel Journal of Vocational Behavior; l’ employability è definita come costrutto psicosociale comprendente tre dimensioni:

(1) capacità di adattamento;
(2) identità di carriera;
(3) capitale umano e sociale.


a) La capacità di adattamento

La capacità di adattamento o adattabilità è il primo aspetto proposto da Fugate e collaboratori nel 2004 per descrivere in maniera multidimensionale il costrutto dell’employability.

L’adattabilità si riferisce al benessere e alla capacità di cambiare atteggiamenti e condotte anche alla luce dell’insicurezza delle carriere e della continua modificazione delle domande lavorative (Fugate et al., 2004).

Il concetto di adattabilità è molto vicino a quello di flessibilità e rappresenta una preziosa risorsa per il lavoratore odierno, immerso in un contesto incerto e in continuo mutamento  (Hall 2002).

Il lavoratore che ha un alto livello di adattabilità presenta maggiore tolleranza di fronte all’ambiguità e all’incertezza del lavoro e mostra livelli inferiori di ansia di fronte ai cambiamenti organizzativi (O’Connell (in Press)).

Collegato al costrutto dell’adattabilità c’è la componente della proattività. In accordo con la visione di Crant (1993) i tipi di personalità proattiva hanno la propensione ad affrontare al meglio i cambiamenti e gli sviluppi che riguardano il contesto lavorativo e hanno una migliore gestione delle situazioni di difficoltà e di quelle che implicano restrizioni e impedimenti.

Gli individui dotati di personalità proattiva hanno migliori capacità di identificazione e di sviluppo delle proprie opportunità anche quando si parla di ricercare le informazioni necessarie al proprio sviluppo. Essi mostrano maggiore controllo sulle situazioni, perseveranza, capacità di self-direction e migliore abilità di fronteggiamento delle situazioni di difficoltà. (Bateman & Crant, 1993; Crant, 2000; Seibert et al., 1999; Seibert, Kraimer, & Crant, 2001; Thompson, 2005).

Sono rintracciabili cinque differenze individuali che descrivono dettagliatamente l’adattabilità: (1) l’ottimismo, (2) la propensione ad apprendere, (3) l’apertura al cambiamento, (4) il locus of control interno e (5) una buona self efficacy (Fugate 2004).

    1. L’ottimismo sul posto di lavoro porta i lavoratori a percepire il cambiamento come una sfida, una esperienza di apprendimento preziosa per crescere professionalmente (Stokes, 1996). Gli individui ottimisti hanno aspettative positive riguardo gli eventi  futuri e mostrano maggiore sicurezza nelle proprie abilità (Judge e altri., 1999; Peterson, 2000), essi hanno una visione migliore delle opportunità lavorative e mostrano maggiore persistenza e incisività nel raggiungimento dei loro obiettivi (Carver & Scheier, 1994).
    1. La propensione ad apprendere è fondamentale per l’adattabilità (Ashford & Taylor,1990; Hall & Mirvis, 1995; London e Smither, 1999); gli sforzi profusi dai lavoratori con alti livelli di employability sono spesso finalizzati al raggiungimento di informazioni e opportunità di sviluppo personale. Le conseguenze associate alle proprie azioni fungono da feedback per l’individuo che sperimenta sulla propria pelle le situazioni, valutando i suoi sforzi e le sue possibilità e adattandosi via via a questi (Ashford e Taylor, 1990). L’apprendimento continuo è una determinante importante soprattutto in riferimento al successo di carriera (Hall & Mirvis, 1995; London & Smither, 1999), inoltre le attitudini, le motivazioni e le disposizioni personali rispetto all’apprendimento contribuiscono nel chiarificare l’adattabilità e l’employability in genere.
    1. L’apertura al cambiamento è un altro aspetto importante per descrivere l’adattabilità del lavoratore; essa favorisce le possibilità di sviluppo personale e di apprendimento  continuo; l’esibizione di flessibilità permette di affrontare al meglio i cambiamenti e le situazioni di incertezza (Digman, 1990). L’apertura al cambiamento è  positivamente associata con una buona capacità di fronteggiare situazioni poco familiari o sconosciute, essa inoltre incrementa le personali abilità di affrontare una varietà  di occupazioni diverse (Barrick e Mount, 1991; Costa e McCrae,1992).
    1. Un altro aspetto centrale nell’adattabilità del lavoratore è il locus of control. Gli individui che   mostrano un locus of control interno sono predisposti a pensare che le cause dei loro successi (o insuccessi), delle proprie scelte e risultati (professionali e non) siano dettate dal controllo sui propri  comportamenti (Rotter, 1966; Spector, 1988). Gli individui con locus of control interno sono più adattabili ed employable perchè risultano maggiormente flessibili e protattivi a fronte di transizioni legate alla vita lavorativa e perchè sono capaci di pianificare meglio le situazioni di incertezza. Essi inoltre risultano più resistenti ai sacrifici e agli sforzi, questo li rende più forti di fronte alle difficoltà della vita lavorativa (Gould 1979).
    1. L’ultimo aspetto trattato è quello della self efficacy, considerata centrale dell’adattabilità.

 

Essa rappresenta l’insieme di percezioni sulla propria abilità individuale e fa riferimento principalmente alla convinzione di essere capaci di raggiungere determinati obiettivi.

Coloro che mostrano alti livelli di self efficacy  hanno una maggiore probabilità di raggiungere i propri obiettivi, di fronteggiare le sfide e le difficoltà della vita in modo migliore (Judge, Erez, e Bono, 1998, p. 170).

Ricerche in merito alla percezione di controllo mostrano che il desiderio di ottenere un senso di controllo guida gli individui verso una riduzione delle loro incertezze e ad attuare migliori strategie di fronteggiamento dei problemi a fronte di cambiamenti organizzativi (Fugate, Kinicki, e Scheck, 2002).

Possedere alti livelli di self efficacy favorisce l’adattabilità personale al lavoro; diversi studi hanno confermato che alti livelli di self efficacy promuovono alta job satisfaction e job performance (Judge e Bono, 2001).

Così come gli altri fattori presentati riguardanti l’adattività, anche la self efficacy promuove l’identificazione e la realizzazione di opportunità di carriera. L’individuo è maggiormente employable (e adattabile) se è capace di plasmare le sue caratteristiche personali in funzione alle domande di sviluppo ed evoluzione dell’organizzazione (Chan, 2000).

L’adattamento ai cambiamenti nella domanda di lavoro costituisce un processo attivo per il lavoratore, colui che mostra migliori livelli di attività anche per quanto riguarda gli sforzi sostenuti, possiede un migliore livello di adattamento (Ashford e Taylor 1990).

Per mantenere un alto livello di adattabilità i lavoratori devono mantenere tre condizioni :

    1. alto livello di feedback sul proprio lavoro e gli sviluppi del lavoro
    1. mantenere alti livelli interni di adattabilità come ad es. l’ottimismo e la self efficacy,
    1. Mantenere alti livelli di mobilità  (Fugate e altri 2004). Allargando i postulati di  Ashford e Taylor, Fugate introduce l’identità di carriera all’interno del costrutto employability.

 

b) L’identità di carriera

L’identità di carriera è presa in considerazione per descrivere il modo in cui l’individuo si sviluppa professionalmente a fronte delle sue ambizioni e motivazioni; parafrasando Fugate l’identità di carriera costituisce “ciò che gli individui sono” e “chi vorrebbero essere” (Ashforth & Fugate, 2001). Per le persone maggiormente employable avere una forte identità di carriera provvede a dare direzione ed energia al proprio percorso. L’identità di carriera rappresenta il modo in cui gli individui si definiscono e si vedono nel loro contesto lavorativo e può essere inteso come una sorta di “bussola cognitiva” usata per navigare all’interno delle opportunità di carriera (Fugate et al. 2004). E’ in questo senso che la career identity può essere intesa come capacità di orientamento e progettualità a fronte della complessità delle opportunità lavorative; essa riflette abilità di ‘Knowing-why’ e si riferisce alle motivazioni che spingono a intraprendere un certo tipo di lavoro (il perchè), ai significati che si danno ad esso e ai valori individuali che entrano in gioco. Considerando che il locus of control esterno non spiega  in maniera significativa le traiettorie di carriera è preferibile riferirsi a questa come all’uso di una “bussola di carriera interna” che è importante per la definizione della direzionalità del proprio percorso e specialmente per la ricerca individuale di opportunità che vadano anche al di fuori dei confini dell’organizzazione. Hall, Briscoe, e Kram (1997) suggeriscono che , in un contesto di sviluppo così frenetico come quello attuale resta importante tenere ben separata la propria identità da quella dell’organizzazione e sottolineano come sia importante avere una visione della propria carriera allargata e non dipendente dall’organizzazione, una visione individuale che tenga conto delle proprie motivazioni e dei propri interessi. Nei periodi di disoccupazione l’identità di carriera costituisce un aspetto molto importante che può garantire all’individuo di riuscire a porsi determinati obiettivi e può portarlo a prendere delle decisioni adeguate per quanto riguarda le proprie opportunità. L’identità di carriera è legata alla progettualità dell’individuo e alla sua capacità di conoscere sempre la propria identità lavorativa.

3) Capitale umano e sociale

Capitale umano e sociale costituiscono la terza dimensione del costrutto employability. Se si parla di  capitale sociale ci si riferisce alla possibilità di usufruire (da parte dell’individuo) di reti sociali in grado di favorire le possibilità di occupazione; il capitale sociale contribuisce ad incrementare la quantità di informazioni relative alle opportunità di carriera  (Adler e Kwon, 2002) e a incrementare il supporto sociale nei confronti dell’individuo (Seibert, Kraimer, e Liden,2001). In tal modo coloro che hanno un livello di network migliore posseggono maggiori possibilità di trovare un’occupazione e di sviluppare i propri obiettivi di carriera. Le reti sociali a disposizione del lavoratore sono importanti e possono fungere da supporto sociale per l’individuo, esse servono a migliorare le condizioni stressanti causate dal lavoro e dai periodi diinoccupazione.

Nei contesti di lavoro il livello di informazione influisce positivamente sulle opportunità di carriera (Burt, 1997a, 1997b; Portes, 1998) e sul raggiungimento delle proprie aspirazioni occupazionali . La grandezza del network (Seibert e altri, 2001) e la sua incisività (Higgins e Kram, 2001) sono due importanti caratteristiche che determinano il potenziale dell’informazione e la determinante di successo dei cosidetti “legami deboli” (La Rosa 2002). Come concettualizzato dal sociologo Fukuyama i legami deboli rappresentano l’insieme di conoscenze e relazioni interpersonali che permettono all’individuo di accedere al mondo del lavoro attraverso canali informali. Dalle formulazioni di Fukuyama si evince come i legami deboli abbiano effettivamente una forte influenza nell’accesso al mondo del lavoro, ciò penalizza di certo i canali formali di ricerca dell’occupazione,  come ad es i centri per l’impiego, i bandi pubblici di concorso e tutte le strutture statali (e non) predisposte al matching candidato-lavoro.  Alcuni autori sottolinearono come i top manager trovavano per di più lavoro attraverso reti di accesso informali e che il capitale sociale era importante per il raggiungimento del lavoro. Insieme al capitale sociale, quello umano ha un ruolo importante nella descrizione del costrutto pisco-sociale dell’employability. Esso si riferisce all’influenza che certe variabili hanno sull’avanzamento di carriera, tra queste l’età e il livello di scolarizzazione (Wanberg, Watt, e Rumsey, 1996), le esperienze di lavoro e formative (Becker, 1975), le performance ottenute nelle organizzazioni (Forbes e Piercy, 1991), l’intelligenza emotiva (Wong e Law, 2002), le abilità cognitive (Tharenou, 1997). Tra le variabili appena elencate il livello di scolarizzazione e l’esperienza lavorativa sarebbero i predittori più forti per l’avanzamento di carriera (Judge, Cable, Boudreau, e Bretz, 1995; Kirchmeyer,1998; Tharenou, Latimer, e Conroy, 1994). Il capitale umano è legato alle abilità di “know-how”, competenze che si riferiscono a conoscenze collegate con la carriera e ad abilità che si costruiscono tramite apprendimento continuo e sviluppo nelle attività professionali. Considerati i continui cambiamenti dell’attuale mondo del lavoro, l’esperienza costituisce un aspetto molto importate per il lavoratore il quale deve esser capace di sviluppare la portabilità di tali abilità (Anderson, 2001) attraverso l’edificazione di un proprio portfolio di abilità e conoscenze, figlio del passaggio da un organizzazione all’altra. Il capitale umano in tal senso è legato allo sviluppo di committment da parte del lavoratore al fine di promuovere un apprendimento continuo al lavoro (Becker, 1975; London & Smither, 1999), tali condizioni non fanno altro che promuovere lo sviluppo e l’innalzamento dell’employability. Investendo sull’apprendimento “on the job” gli individui hanno la possibilità di sviluppare il loro capitale umano, edificando così il loro livello di employability.

 

Lavoro flessibile e job insecurity: l’incertezza lavorativa avanza alla luce di un fenomeno eterogeneo – © Dr. Pierluigi Lido